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lunedì 18 novembre 2013

Alghero - Fine Ottocento



Il porto di Alghero nel 1800
Immagine tratta dal  libretto della mostra "Il Porto di Alghero nell'Ottocento" allestita ad Alghero nella Torre di San Giovanni il 18 dicembre 1993.

La ricerca che sto conducendo sulla famiglia Ceravola di Alghero mi ha portato ad approfondire alcuni aspetti della vita cittadina dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Ritengo che il seguente articolo sia di grande interesse per inquadrare il profilo economico di quel periodo e per spiegare, almeno parzialmente, il gran numero di bambini che morivano in seno alle famiglie in quegli anni e l'alto numero di bambini abbandonati e lasciati alla ruota. Sono venuta a  scoprire una grave crisi che privava le persone perfino di quel minimo necessario per sopravvivere. E, anche allora, il Governo si mostrava aguzzino e complice nell'emarginare i più deboli.

Il seguente articolo è tratto interamente dalla pubblicazione di "100 Anni della Nostra Storia" che "La Nuova Sardegna" stampò nel 1992 per celebrare il centenario del giornale che divenne quotidiano il 17 marzo 1892.

ALGHERO APRE ALL'EMIGRAZIONE

Ad Alghero la sorte accordò un privilegio non lieto: quello di offrire, negli ultimi anni del secolo scorso, un apporto vistoso – probabilmente il primo – all'emigrazione sarda, flusso che, dapprima di entità esigua (una media di 144 partenze l'anno fra il 1880 e il 1890, di 660 partenze l'anno fra il 1890 e il 1900), si sarebbe andato ingrossando via via, fino ad assumere una consistenza rilevante nei primi due decenni di questo secolo. Non fu, è certo, il fenomeno di massa che in altre regioni lasciò disabitati i paesi, deserte le campagne. Era però paradossale, poiché in Sardegna la densità della popolazione – una trentina di abitanti per chilometro quadrato – era la minore d'Italia. Si fuggiva da una regione già di per sé spopolata, le cui risorse non bastavano a nutrire coloro i quali avevano la ventura d'esservi nati e di vivervi.
"Ieri – riferiva «La Nuova Sardegna» il 4 agosto 1897 – partiva da Porto Conti la terza spedizione di emigrati, composta da 48 famiglie rappresentanti 238 individui, dei quali 117 al di sotto dei dieci anni. Si imbarcarono sul piroscafo 'Capraia', appositamente noleggiato, giunto da Genova alla mezzanotte di ieri. Questo li porterà a Cagliari, d'onde verranno trasbordati sull' 'Attività' che li condurrà in Brasile. La partenza degli emigrati non era vicenda alla quale la città restasse estranea: 'Già da sabato si notava in Alghero un tramestio insolito, era un andirivieni di carri che trasportavano alla banchina le poche masserizie degli emigranti, quelle che non erano riusciti a vendere, o che giudicavano indispensabile avere con sé. Si vedevano per le vie gruppi di uomini, attorno ai quali la folla faceva cerchio. Il tema dei discorsi era l'imminente partenza."

Le immagini che affiorano nel lungo racconto sono quelle che la densa letteratura che ha per argomento l'emigrazione dalla metà del secolo scorso ha reso familiari: 'Dopo la mezzanotte la triste carovana si mise in moto per Porto Conti. Era un lungo convoglio di carri a buoi ed a cavallo. I più seguivano a piedi (…) Attorno alla cantoniera erano circa seicento persone, quasi tutte popolani. Pareva ci si fosse fatto un grande bivacco. Tutti avevano il viso scialbo per la notte insonne e per l'emozione che li dominava. Le donne in ispecie, accoccolate intorno ai fuochi i cui ultimi tizzi si spegnevano, avevano gli occhi arrossati dal pianto (…) Alle sette gli emigranti cominciarono ad imbarcarsi (…) Alle dodici l'imbarco era finito. Il capitano e l'agente d'emigrazione allora li fecero passare tutti a poppa e poi sfilare un'altra volta, famiglia per famiglia, per controllare il numero e l'identità dei partenti.' 

la seguente tabella mostra la consistenza dell'emigrazione negli anni 1896 e 1897.


Data
Numero famiglie
Numero persone
Media persone per famiglia
05/08/96
9
40
4,44
03/06/97
24
128
5,33
03/08/97
48
238 
4,96
20/08/97
30
136
4,53
TOTALI
111
542
4,88


In realtà alla spedizione del 20 agosto parteciparono intere famiglie di Villanova, Usini, Putifigari, Mara, Padria e Pozzomaggiore, ed altre spedizioni sarebbero seguite.
Ma, al di là delle sofferenze individuali e dalla somma di drammi che la vicenda dell'emigrazione comportava, sarà utile tentar di capire quali, in concreto, fossero le forze che spingevano ala fuga da luoghi nei quali non esisteva più speranza.
«Pare inesplicabile – osservava “La Nuova Sardegna” il 5 agosto – l'emigrazione degli algheresi, perché sono ben poche le città che possono contare sulle risorse del mare e sulle risorse della terra. Una città favorita dalla natura come Alghero, con oliveti, vigne ed orti fertilissimi, con una marina incantevole quanto ricca di pesci, dovrebbe trovarsi in condizioni di prosperità economica da destare invidia. Invece si va spopolando: la ventesima parte della sua popolazione è già partita; e se l'esodo continuerà progressivamente, fra un anno ad Alghero rimarrà popolata solo la casa di pena, dove ci saranno forse più galantuomini di quelli che cagionarono la prostrazione della patria.
Perché – si chiedeva il giornale – emigrano gli algheresi?»
E suggeriva una spiegazione: il sequestro e la vendita all'asta dei beni di coloro i quali non erano in grado di pagare le imposte. Era una spiegazione dl tutto ragionevole, poiché il fenomeno aveva larghissima diffusione. «In un solo elenco di subastati, fra i contribuenti di Alghero e di Olmedo, per 8.033 lire d'imposta si metteva all'asta una proprietà fondiaria del valore di lire 150.882. Col continuo indemaniamento, con l'inasprimento delle imposte, tutte le energie sono venute meno e la miseria è divenuta generale.»
Se tutto questo avveniva, vi dovevano essere responsabilità precise e non lievi del potere politico.
«Da molto tempo fu domandato un sollievo nell'imposta fondiaria, ed il governo ha continuato ad aumentare le spese. Da molto tempo furono invocate agevolezze nei trasporti, ed il governo ha continuato a badare solo alle importazioni aumentanti le entrate doganali. Da molto tempo furono invocati aiuti alle piccole industrie, ed il governo ha continuato ad occuparsi della questione d'oriente. Da molto tempo fu reclamata la bonifica delle terre oggi incolte, ed il governo ha continuato a studiare la colonizzazione dell'Eritrea.»

Ma al giornale, espressione di punti di vista della borghesia, sfuggivano altre importanti cause. I contadini si trovavano in una situazione di estrema povertà come fu evidenziato da indagini condotte dagli economisti nei primi anni del 1900. Il salario di uno zappatore nelle campagne di Sassari variava, a seconda delle stagioni, fra una lira e venticinque centesimi e una lira e settantacinque centesimi per un'intera giornata di lavoro che si protraeva anche per dodici ore. A Sassari, alla mattina, appena spuntava l'alba, i contadini si recavano in una delle tre piazze vicine alle antiche mura della città, nella cosiddetta “portha” ed esibiva l'opera sua ai proprietari o ai loro intermediari.

Ma vi erano braccianti agricoli che vivevano e lavoravano in condizioni anche peggiori, e dovevano accontentarsi di un massimo di una lira al giorno. Per i lavori più faticosi, come la trebbiatura o per quelli più specializzati come la potatura e la vendemmia, si andava delle due alle tre lire.  
Le donne e i ragazzi avevano una paga molto più bassa. I ragazzi erano pagati da 0,25 lire a 0,60, le donne da 0,60 a 0,75, o anche una lira per lavori particolarmente faticosi o che richiedevano speciali abilità. I reddito dei contadini era in gran parte dei casi insufficiente a soddisfare le necessità primarie della vita e l'agricoltura andava verso un progressivo impoverimento. Vaste estensioni di terra destinate a cereali erano lasciate incolte o tenute a pascolo perché la coltivazione del grano non rendeva più.
I Sardi allora emigrarono. Inizialmente andarono in Brasile, poi in Francia, nell'Africa mediterranea e infine in U.S.A. e in Canada. Da alcuni calcoli risulta che intorno al 1914 i sardi emigrati all'estero erano circa 80.000 e  i Sardi sparsi nella penisola erano 26.630. Allora la Sardegna contava 850.000 abitanti.
Fu una grande crisi che dal 1887 investì la Sardegna e colpì Sassari e Cagliari dopo una fase di rapida crescita economica, demografica ed urbanistica attuata tra il 1870 e il 1887. A tale situazione si può associare Alghero. Anche nella nostra città furono abbattute le mura che stringevano l'abitato e lo separavano dalla campagna circostante. Anche ad Alghero la borghesia abbandonò i palazzi del centro storico per costruire le nuove dimore al di là delle vecchie mura e lungo il mare mentre le famiglie di contadini, pastori e pescatori si ammassavano nei sòttani e nei vecchi palazzi ormai fatiscenti dove vivevano in spazi ristretti, senza aria e senza luce, in condizioni igieniche precarie. E poi arrivò la crisi. Dopo il 1887 si interruppe il processo di espansione urbanistica, l'attività edilizia dovette essere sospesa lasciando senza lavoro molte centinaia di operai.
Il giornale commenta: «Vennero poscia in questi ultimi anni, quasi contemporaneamente, le crisi finanziarie, la fillossera, la rottura dei trattati commerciali con la Francia, la mancanza e il rinvio dei nostri prodotti agricoli – dolorosa processione di mali – i proprietari si accasciarono sotto il peso delle imposte su beni divenuti improduttivi, i comuni languirono dissanguati dalle estorsioni del governo, e i lavori, le costruzioni, cessarono quasi ad un tratto, facendo sentire il contraccolpo di tante miserie più dolorosamente che ad ogni altro sulla massa dei lavoratori che vivevano alla giornata.