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lunedì 26 agosto 2013

Monte Minerva



Domenica 25 agosto 2013 - h 17,56
Arriviamo alla Riserva naturale di Monte Minerva, come dice il cartello


Passeggiata a Monte Minerva, favorita dal fatto che queste giornate hanno una temperatura ideale.
Arrivati a Villanova Monteleone si prosegue verso Monteleone Roccadoria per raggiungere il Monte. Si posteggia presso Su Palattu. La prima salita è un po' ripida ma è resa piacevole dal viale alberato con conifere, pini, e cipressi molto alti. La strada si può percorrere agevolmente con l'auto quindi a maggior ragione è facile per chi vuole camminare.
La strada lunga 4700 metri ha estesi tratti pianeggianti e qualche dolce discesa. Ai lati si possono osservare lecci, qualche roverella, mirti, molti lentischi e pini.
Da notare grandi rocce scavate da pioggia e vento. Il panorama si spezza a volte contro altre alture oppure ci porta  molto lontano. Ai piedi vediamo una vallata che ospita allevamenti di ovini e bovini, punteggiati da alberi isolati e macchie scure tra il giallo dell'erba falciata.

La vallata dovrebbe essere Sa Cozzula, un'antica caldera vulcanica trasformata in valle dal passaggio del rio Trainu de Badde Muttiga.


Infatti Monte Minerva è un vulcano spento alto poco più di 600 metri. Come molte alture della Sardegna ha un profilo trapezoidale. Sulla sua sommità  si trova una vasta  zona piana. 


Tra le rocce un leccio è riuscito a crescere e sopravvivere.


Lungo la strada troviamo un percorso da trekking di 700 metri che porta sulla cima, superando un dislivello di 200 mt.




Al ritorno notiamo pigne di tasso sul viale di accesso al monte





Lungo la strada del ritorno troviamo alcuni asinelli molto socievoli che ci vengono incontro.



Ecco in lontananza Monteleone Roccadoria




Qui si vedono anche le case del paese.  (Foto 31.7.2011)


(Foto 31.7.2011)



Naturalmente il toponimo "Minerva" merita alcune considerazioni.
Anche Alberto della Marmora ne aveva osservato la stranezza e lo aveva elencato tra i nomi particolari riconducibili a denominazioni antiche insieme a Luna-Matrona, Martis, ed Erculentu.
Giovanni Francesco Fara (1586) dice che Minerva è centro posto "alle pendici di un altissimo monte dello stesso nome, le cui rovine vedonsi ancor oggi". Lo colloca nella regione Monteleone appartenente alla diocesi di Bosa.
Il canonico Angius dice che il territorio di Villanuova Monteleone è bagnato "dal Temo ed anche dal rio Minerva..." Inoltre dice che "I giusdicenti di Minotadas e di Minerva risiedono in Villanuova".
Parlando della provincia di Alghero Angius precisa che i tribunali sono costituiti ne' capoluoghi dei mandamenti. Quindi elenca i mandamenti e tra questi figura Minerva. Aggiunge che "..mancando Minerva di propri vassalli, cui si amministri la giustizia, per essere deserti i loro territori ... la loro giurisdizione non si esercita che in alcune occorrenze, dicendosi solo la ragione, quando trattisi di cose appartenenti a queste montagne o terreni denominati feudali, ovvero di delitti ivi commessi, o controversie tra i contadini che vi seminano, tra i pastori che abbiano preso in appalto i pascoli."
In seguito l'Angius elenca Minerva tra i dodici feudi compresi nella provincia di Alghero.
Da queste poche notizie si può dedurre che Minerva fosse un piccolo centro abitato, presumibilmente di età romana,  posto ai piedi del rilievo.
Già nel cinquecento era disabitato e in rovina e divenne un feudo senza abitanti.
Questo nome si ritrova anche ad Alghero perché c'è la Via Minerva o Vicolo della Minerva che prendeva il nome dai conti della Minerva, presumibilmente i feudatari della zona di Minerva.
Michele Chessa scrive: " Via Minerva ha preso il nome dai conti della Minerva che avevano una casa nella stessa strada ed erano imparentati con i nobili  De Arcajne e Maramaldo". 


Salvatore Colomo: Guida alla natura della Sardegna, Editrice Archivio Fotografico Sardo-Nuoro, 1992
Giovanni Francesco Fara: Geografia della Sardegna , Editrice Quattromori, 1975
Vittorio Angius: Città e villaggi della Sardegna del'Ottocento, Editrice Ilisso, 2006
Alberto della Marmora: Viaggio in Sardegna, Editrice Archivio Forografico Sardo-Nuoro, 1995
Michele Chessa: Racconti Algheresi, I volume, La Celere, 1976


Ecco ora gli appunti di una mia precedente escursione con i tempi di percorrenza e la descrizione della cima.
Monte Minerva - (Domenica 07.10.2001)
Partiti da Alghero alle ore 9. Arrivati ai piedi del monte alle ore 10, abbiamo iniziato a salire limitando al minimo il peso delle borse. C'era il sole e il forte caldo era mitigato dal vento. Siamo arrivati sulla cima alle ore 11,40 e poco dopo abbiamo mangiato. Quindi abbiamo visitato il pianoro. All'estremità c'era una stazione di pompaggio della sottostante diga del Temo. Tra la vegetazione abbiamo scorto due pernici che al nostro arrivo sono volate via. Un grande falco volteggiava sulle nostre teste.
Nei pressi c'era una piccola costruzione di legno con una veranda coperta, utile in caso di pioggia. C'era inoltre un tavolo di pietra con sedili e un grande serbatoio di plastica con il rubinetto contenente acqua. Il tavolo si trovava sotto un grande albero (leccio?) il cui tronco,  dritto alla base, si era piegato per la forza del vento e  faceva un angolo quasi retto. Le sue lunghe e folte chiome mandavano una grande ombra sul tavolo. Era l'unico albero maestoso dell'altopiano. Le altre piante, in prevalenza lecci e alcuni peri selvatici, erano più piccoli e stentati, tutti curvi nella direzione del vento. Vi era numerosa macchia mediterranea: mirto, cisto, grandi lentischi. Vi erano alcune piante di pino di una decina di anni.
Dai bordi dell'altopiano trachitico si vedevano alcuni paesi: Monteleone Roccadoria, Romana, Villanova, e in lontananza Ittiri. C'era anche una bella vista dell'invaso artificiale del Temo. La giornata era nuvolosa e non molto limpida.
Abbiamo preso un sentiero sulla sinistra e siamo arrivati ad un muretto che sbarrava una vecchia strada lastricata con pietre. Tornati indietro abbiamo percorso il sentiero centrale e siamo tornati al luogo dove avevamo mangiato. Alle 14,35 abbiamo iniziato la discesa. Le nuvole minacciavano pioggia e non abbiamo sostato. Ho raccolto alcune pietre stratificate di colore rosa salmone e rossiccio-marrone. Forse è marna. Le rocce del monte sono prevalentemente basalti neri e trachiti rosse. C'erano grandi massi precipitati dalla sommità. Potenti strati di roccia chiara delimitavano il sentiero. Sul pendio si notavano splendidi esemplari secolari di roverelle, lecci e sughere con chiome folte e articolate. Arrivati quasi alla base il viale è affiancato da maestose conifere messe a dimora da molto tempo. C'erano conifere con curiose pigne che sembrano quasi involucri del baco da seta, di colore chiaro grigio-verde, abeti con piccole pigne di colore marroncino chiaro in formazione, cipressi, pini con pigne da pinolo e altri con pigne dai pinoli più piccoli. Sulla destra, dentro al prato, c'è un esemplare di olivastro con una chioma enorme. Vicino al suo tronco c'è un masso.

domenica 18 agosto 2013

Nuraghi


Ittireddu: Nuraghe Funtana

Ittireddu. Nuraghe Funtana

"Muti e maestosi giganti si ergono sulle alture e nelle vallate. Il loro linguaggio è ormai affidato alle pietre che, una sull'altra, ripetono forme circolari in spirali che si restringono smpre più fino a chiudersi. Senza un inizio né una fine, l'immaginaria spirale sale verso il cielo, sempre più in alto.
Tutta la nostra scienza si scontra con indecifrabili quesiti e tutta la nostra volontà di conoscere si blocca di fronte ai megaliti che ci sovrastano. Cunicoli, nicchie, stanze, pozzi, antemurali, piombatoi, scale, tholos, feritoie ... oggi li abbiamo chiamati così. Come li chiamavano i nuragici? Come hanno potuto concepire una costruzione così ardita senza lasciare traccia dei disegni che senza dubbio sono stati indispensabili per procedere nella costruzione? E come un così esiguo popolo ha potuto trovare energia eccedente da dedicare a queste opere, e da chi ha mutuato la tecnica indispensabile? E a quale scopo ha riunito tanti uomini per un lavoro che non era di stretta utilità individuale, ma era rivolta ad una utilizzazione sociale o ad una élite? Un pesante silenzio sovrasta i macigni nuragici. A noi rimane l'inquietante desiderio di penetrarli, visitarli, osservarli in ogni particolare, con l'inutile speranza di decifrare il linguaggio delle pietre, di trovarvi qualche segno, qualche arcana impronta che ci apra scenari arcaici e suggestivi, ormai irrecuperabili."

Così scrivevo il 17 aprile 1978. Due o tre anni prima avevo visitato il nuraghe di Barumini. Ero andata in una giornata di fine dicembre. Allora non c'erano guide, e non c'era proprio nessuno. Con mio marito sono entrata in questa incredibile costruzione e l'abbiamo scoperta stanza per stanza. L'impressione è stata fulminante. Conoscevo già il Palmavera ma a Barumini ho provato delle emozioni irripetibili che ricordo bene ancora oggi. Chissà quale evoluzione avrebbe avuto il popolo nuragico se lo avessero lasciato sviluppare in un contesto di scambi pacifici, come era avvenuto con i Fenici. Ma la pace è un sogno che non fa parte della storia. Ci rimane solo una grande amarezza per il passato e per il presente, nella constatazione che l'uomo non può trovare l'armonia del quieto vivere nel rispetto di sé stesso e degli altri, ma è succube dell'ingordigia che rende la sua vita un inferno. Ieri come oggi e, forse, come sempre.


Ittireddu: Sughero inserito nella muratura del nuraghe Funtana.