Visualizzazioni totali

giovedì 26 marzo 2020

Coronavirus - Conseguenze

Vista l'emergenza Corona Virus propongo gruppi di lettura on line sull'epidemia di Spagnola ad Alghero. 

Chi è interessato può contattare la e-mail tilgio@virgilio.it per ricevere notizie sull'argomento.

Stamattina riflettevo su alcune conseguenze del blocco attuato in occasione della pandemia che, per la prima volta nella storia dell'uomo, ha costretto contemporaneamente gran parte delle persone di diversi continenti ad uno stile di vita imposto per motivi che non si discutono. Naturalmente molto dipende dalla durata delle restrizioni e noi tutti ci auguriamo di tornare al più presto alla normalità.
Scriverò questo post in più tempi, senza seguire un ordine logico ma in base a ciò che mi verrà in mente.


1. Circolano pochissimi mezzi di trasporto per cui credo che sia altamente improbabile che accadano incidenti. Nel frattempo le Assicurazioni riscuotono i soldi come se nulla fosse cambiato.

2. Purtroppo stanno venendo a mancare tante persone anziane e questo fa sì che molte pensioni decadranno con svantaggio per le famiglie e vantaggio per lo Stato.

3. Anche senza una nostra consapevolezza, si modificherà il nostro mondo dei valori. Ciò che abbiamo sempre dato per scontato acquista oggi un maggiore pregio. Il fatto di trascorrere tutto il tempo dentro casa ci porta a curarla con maggiore attenzione e a renderla più comoda e confortevole. 

4. Non voglio neppure pensare a coloro che, avendo un'attività lavorativa autonoma, sono adesso impediti di lavorare. Per loro il danno è incalcolabile e possiamo solo sperare che, una volta conclusa questa forzata chiusura, si trovi il modo di ripartire e di recuperare ciò che si è perso.

5. Come hanno fatto vedere alcuni filmati, il mare nei pressi delle coste è pulito, nell'aria non c'è smog, e la natura ringrazia.

6. Sta a cquistando sempre più importanza la comunicazione tramite internet: lavoro, studio, amicizie, viaggiano su internet mantenendo vivi l'impegno e i rapporti sociali.

7. Rimane il sospetto che, pur non togliendo nulla alla gravità della situazione, l'isolamento forzato non dispiaccia al potere. Sembra quasi di vivere nelle atmosfere di 1984 di Orwell con cittadini  controllati e sorvegliati nei loro spostamenti anche se nel romanzo gli scopi erano politici e non sanitari. 


Continua ...

domenica 8 marzo 2020

La "spagnola" ad Alghero - 1918

Vista l'emergenza Corona Virus propongo gruppi di lettura on line sull'epidemia di Spagnola ad Alghero. 

Chi è interessato può contattare la e-mail tilgio@virgilio per ricevere notizie sull'argomento.


         CENTO ANNI FA LA “SPAGNOLA” - 1918-2018


In Italia, il primo allarme venne lanciato a  Sossano (Vicenza) nel settembre del 1918, quando il capitano medico dirigente del Servizio sanitario del secondo gruppo reparti d'assalto invitò il sindaco a chiudere le scuole per una sospetta epidemia di tifo

Nell'immaginario collettivo l'idea di strage nel 1900 è associata alle guerre ma l'impressione è fuorviante. Se è vero che nella prima guerra mondiale sono morte 16 milioni persone e nella seconda 68 milioni, c'è stato un altro killer silenzioso e subdolo che ha provocato circa 50 milioni di vittime in tutto il mondo nell'arco di pochi mesi a cavallo tra il 1918 e il 1919.
Il virus della “spagnola” raggiunge l' Europa nella primavera 1918 portato dalle truppe statunitensi che partecipano alla Grande Guerra. La notizia della terribile epidemia viene censurata dalla stampa e ne parlano per primi i giornali spagnoli visto che la Spagna, non coinvolta nel conflitto, non pratica la censura di guerra. Per questo motivo la pandemia è conosciuta come “spagnola”.
Non esistono dei dati certi, ma alcuni parlano di un miliardo di persone contagiate e almeno 50 milioni decedute nel mondo. Per l'Italia è accreditato il dato di 375 mila decessi a causa dell'influenza ma in realtà non è stato mai possibile quantificare con esattezza il numero dei morti per il contagio.



La spagnola in Sardegna



Vediamo ora in particolare qual è stato l'impatto di questo terribile morbo nei nostri territori.
In Sardegna “Il peggio venne nell'autunno del 1918, proprio quando la guerra era prossima alla conclusione. Fra il settembre e l'ottobre giunse in Sardegna un'epidemia influenzale di estrema gravità, che aveva esito mortale in un altissimo numero di casi; era quella che si chiamò “febbre spagnola”, sebbene non dalla Spagna venisse, ma dall'Asia, probabilmente dalla Cina, e che già dilagava in buona parte dell'Europa e nel resto dell'Italia. Le conseguenze furono di gravità straordinaria. In Sardegna, soltanto negli ultimi mesi del 1918, morirono poco meno di diecimila persone, e ne morirono altre tremila nei due anni successivi. In Italia i casi mortali accertati furono 274 mila nel 1918, 32 mila nel 1919, 24 mila nel 1920 per un totale di 330 mila; In Europa, nell'arco di tre anni, non meno di dieci milioni1”.
Un grave ostacolo alla ricostruzione dell'evento è dato da “un vuoto desolante di documenti”2 pubblici e privati (memorie, epistolari, diari). La morte di tanti giovani deceduti per l'epidemia è stata cancellata dalla memoria, quasi per fare spazio al sacrificio di altri giovani, gli eroi caduti per la Patria.
Per definire i contorni di questo spaventoso periodo di malattia e morte, Eugenia Tognotti si serve delle cronache locali di quotidiani, dei provvedimenti delle autorità sanitarie e di altri scarsi documenti ufficiali.
L'epidemia arriva a Cagliari nella primavera 1918 ma inizialmente non provoca vittime. Verso la metà di settembre i prefetti di Cagliari e Sassari rendono obbligatoria la denuncia dei casi di influenza che si manifesta con “complicanze anche letali”3



1 100 anni della nostra storia, 1915/1925 Dai Campi alla trincea di Angelo De Murtas La Nuova Sardegna, 1991, E la “febbre spagnola” miete diecimila vittime in pochi mesi, p. 29,

2 Eugenia Tognotti, Dal mondo antico all'età contemporanea, Studi in onore di Manlio Brigaglia, Guerra ed epidemia, la “Spagnola” in Sardegna, p. 774

3Ibidem, p. 777


                          La febbre dei tre giorni



L'influenza ha un decorso breve e per questo è stata denominata “febbre dei tre giorni” ma purtroppo è a volte seguita da complicanze dell'apparato respiratorio: tracheobronchiti, bronchiti acute, catarri soffocanti, polmoniti, edema polmonari che sono causa di morte, non essendosi ancora trovati farmaci idonei a contrastarle. L'unica raccomandazione che fanno i medici è di evitare il contagio e di curare in particolare la pulizia delle mani, delle cavità nasali e della bocca. Alcuni consigliano di introdurre vaselina nelle narici per impedire l'accesso ai microbi oltre ad effettuare polverizzazioni nel naso con olio mentolato1.
Le cure praticate sono a base di tintura d'oppio canforato (analgesico), di acido fenico (antisettico e disinfettante), di percloruro di mercurio (disinfettante). Negli ospedali si praticano iniezioni a base di canfora utili per le congestioni delle vie aeree superiori e inferiori specialmente in presenza di tosse, siero antipneumococcico per ridurre il rischio di polmoniti, e inoltre si somministrano fenolo (antisettico) e mentolo per alleviare le irritazioni delle vie aeree.
Nei giorni dell'epidemia si assiste a un vero e proprio assalto al chinino, nonostante i medici abbiano chiarito che il farmaco non ha alcuna efficacia in caso di influenza. Presto le scorte di chinino scarseggiano a danno dei malati di malaria nelle campagne e nelle zone di guerra. Nelle farmacie si acquistano espettoranti, e molti ricorrono ai vecchi rimedi di medicina popolare per i brividi di freddo e per la febbre come fumigazioni, decotti, sciroppi, applicazione di tegole o mattoni caldi2.
A fine settembre La Nuova Sardegna pubblica alcuni “Consigli popolari per la difesa individuale contro l'influenza” forniti da una commissione formata da un gruppo di medici. Naturalmente non si fa mai cenno alle complicazioni dell'influenza e neppure alla sua vasta diffusione. Nei giorni successivi nascono numerosi comitati formati da medici militari, studenti di medicina, infermieri, militi della Croce Rossa, preti e maestri, che cercano di colmare i vuoti lasciati dai medici impegnati nelle zone di guerra. Anche le donne si impegnano nella ricerca di fondi e nella distribuzione dei generi alimentari agli ammalati bisognosi.
Le persone più colpite sono i ragazzi e i giovani adulti. In tutto il mondo il tasso più elevato di mortalità si riscontra negli individui con un'età compresa tra i quindici e i quarant'anni. Pare infatti che gli anziani siano più resistenti al contagio in quanto già colpiti dall'influenza del 1889 e quindi immunizzati.
I giornali smentiscono le voci di una grave epidemia diffusa in tutta l'Europa, ma nel contempo viene rinviata l'apertura delle scuole elementari e vengono proibiti gli assembramenti. Si vietano le visite in ospedale dove i contagiati, se è possibile, vengono isolati.
Si raccomanda particolare attenzione nella pulizia e disinfezione di case, uffici, chiese dove si chiede che vengano disinfettati con cura i banchi e i confessionali. Si sospendono le feste patronali e si consiglia di ridurre al minimo la frequentazione di teatri e locali cinematografici Col passare dei giorni, nonostante i giornali rassicurino sul decrescere dell'influenza, si attuano ulteriori restrizioni che modificano anche i rapporti sociali: vietato visitare gli ammalati, porgere le condoglianze, partecipare ai funerali. Anche gli abbracci, i baci e le strette di mano sono messi al bando. Mussolini scrive sul “Popolo d'Italia” che se la sudicia abitudine di stringere la mano fosse stata vietata, la spagnola sarebbe scomparsa nel corso di una notte3


4Ibidem, p.779
5Ibidem, p.780
6Ibidem, p. 788

                               Scenari terrificanti


A scorrere le cronache di Nuoro, de La Maddalena e dei tanti paesi della Sardegna appare uno scenario terrificante. Per sostenere famiglie in difficoltà vengono organizzate squadre di volontari che forniscono assistenza, medicine e alimenti. La mortalità è molto alta e talvolta colpisce interi gruppi familiari. A Tula il prete e il medico non possono svolgere le loro funzioni in quanto anche loro malati, si ricorre alla Croce Rossa per la disinfezione delle abitazioni e per il trasporto dei cadaveri (alla pietosa incombenza vengono adibiti anche militari in convalescenza) e lo scenario appare veramente apocalittico7.

Finalmente intorno alla metà di novembre la malattia inizia a regredire, per cessare alla fine del febbraio successivo. Una stima fornisce per il 1918 la cifra di 12 mila decessi nell'Isola e la fascia di età più colpita è quella tra i venti e i quarant'anni. In tre anni di guerra erano morti 13.602 soldati sardi8.
A Cagliari si dispone l'apertura delle scuole di ogni ordine e grado per il 21 novembre. A Sassari gli istituti scolastici aprono il 2 dicembre e a Nuoro il 9 dicembre. Nei caseggiati si procede a una rigorosa pulizia e disinfezione di tutti i locali e gli alunni vengono sottoposti a una visita medica prima di essere ammessi alla frequenza.


                        Fine della Grande Guerra


Nel periodo di maggior impatto della malattia l'Italia festeggia la vittoria finale della guerra nei campi di battaglia.
Martedì 12 novembre giunge al prefetto di Sassari un telegramma del generalissimo Diaz con la notizia che il tricolore sventola sulla torre del Buon Consiglio e sulla torre di san Giusto. Dopo mezzogiorno si diffonde ad Alghero la notizia dell'armistizio e, «in segno di festa e di esultanza, mons. Vescovo fece suonare tutte le campane, e subito si formò un lungo corteo, che con la bandiera spiegata e musica percorse le vie della città. Non mancarono i discorsi patriottici».
Nonostante le raccomandazioni ad evitare gli affollamenti e i contatti tra le persone, «ad iniziativa dell'Unione popolare cattolica alla quale ha ben volentieri aderito Mons. Vescovo ed il Rev.mo Capitolo, la sera della domenica 17 novembre 1918 per la cessazione delle ostilità e la vittoria delle nostre armi si tenne nella Cattedrale funzione solenne di ringraziamento. Parato l'altare maggiore come nelle maggiori feste, con sfarzo di cera a spese del Capitolo, e con palme simboliche, non fecero difetto la bandiera nazionale e le epigrafi alla porta di chiesa, ai due lati della balaustra e delle due colonne, [...] Intervennero alla funzione le autorità appositamente invitate, la Società, i Gremi e le associazioni maschili e femminili con i rispettivi stendardi, e molto popolo. Il discorso di circostanza fu tenuto da monsignor Vescovo e, lui celebrante, si cantò il “Te Deum” col Santissimo esposto e si terminò con la prima benedizione eucaristica.
La domenica successiva, 24 novembre, con a capo mons. Vescovo si andò in pellegrinaggio a Valverde per ringraziare la Vergine Benedetta della grazia ottenuta»9.


Bisogna comunque aggiungere che, a differenza di altri centri dell'isola, la spagnola non è stata particolarmente letale ad Alghero. Forse in quei giorni non si ha la percezione esatta della pericolosità del morbo per cui non lo si ritiene un motivo valido per rinunciare ai festeggiamenti di un evento così felice come la fine di un incubo.

Il 15 novembre il rettore dell'Università di Sassari inaugurando l'anno accademico legge i nomi degli studenti caduti in guerra ma non fa alcun cenno ai tanti studenti morti pochi giorni prima a causa dell'epidemia1.

7Ibidem, p. 794
8Ibidem, p. 795
9Archivio Storico Diocesano di Alghero
1Ibidem, p. 795



                       
      Condizioni igieniche di Alghero  e sanità pubblica

Fatta questa necessaria premessa per capire l'impatto del contagio che in quegli anni ha contribuito, insieme alla guerra, a provocare un grave danno demografico, economico e sociale nella nostra Isola, vediamo ora nello specifico come l'epidemia si è presentata nella nostra città.

Iniziamo ad esaminare un documento molto importante dell'aprile 1919.
Il peggio dell'epidemia di spagnola è ormai alle spalle e il 2 aprile 1919 il sindaco riceve dal sottoprefetto la seguente comunicazione:
Risultami che l'ufficiale sanitario dott. Pisano ha scritto alla S.V.I. la seguente lettera «Di fronte alle deplorevoli condizioni igieniche dell'abitato di Alghero, potendo essere questo causa di gravi inconvenienti in rapporto alla sanità pubblica, prego la S.V.I. affinché ciò considerando, voglia prendere i più rigorosi provvedimenti:
Intensificare la vigilanza, e la nettezza pubblica aumentando il numero dei carri e del personale adibito a tale servizio.
Proibire assolutamente l'allevamento delle galline in città
Provvedere a liberare la città dal numero di cani vaganti i quali possono essere causa dii contagi di malattie all'uomo: rabbia, tenia, echinococco, cimurro, ecc. Si deve rimettere in onore l'accalappiacani e i bocconi di stricnina.
Proibire rigorosamente, comminando pene severe, Il gettito di immondizie, rifiuti e acque luride dalle finestre e dalle porte delle case nella pubblica via.
Raccomandare la massima vigilanza agli agenti municipali i quali, anche quotidianamente dovranno sorvegliare le stalle e i cortili interni delle case che servono spesso da depositi d immondizie e da vivaio alle mosche veicoli di malattie infettive».
Nell'interesse dell'igiene e della salute pubblica prego dare energiche disposizioni perché i provvedimenti consigliati dall'Ufficiale sanitario siano prontamente attuati”.


                             La risposta del sindaco

La risposta del sindaco Carmine Dupré2 non si fa attendere e il 4 marzo egli scrive all'Ufficiale Sanitario:
«Ill.mo Sign. Ufficiale Sanitario
Alghero
Da professore (?)3 veramente devo dirle che le condizioni attuali dell'igiene della nostra città non sono così deplorevoli com'Ella afferma, tanto è vero che durante il periodo che infieriva l'influenza spagnuola si ebbero a verificare solamente 58 decessi su 12.000 abitanti mentre in Olmedo a 12 Km da Alghero si verificò lo stesso numero di decessi su 600 abitanti presenti.
Lo stesso dicasi delle febbri maltesi che in seguito alla mia ordinanza che vietava la vendita del latte nelle case dei produttori è diminuito di gran lunga il numero dei casi che per il passato infieriva grandemente.
Non mi consta che ci siano attualmente altre malattie, e se ce ne fossero certamente la S.V. ne avrebbe avvisato.
In quanto ai provvedimenti indicatimi per provvedere al miglioramento delle deplorevoli condizioni igieniche della città devo significarle:
che fin dal 22 marzo u.s. i carri adibiti ala nettezza pubblica sono due, e il numero degli spazzini venne portato a cinque e che in seguito a tale provvedimento si è avuto un enorme miglioramento tanto è vero che oggi stesso da persone autorevoli mi son sentito fare i complimenti per la nettezza della città.
Che per provvedere all'allontanamento dall'abitato delle galline, vi osta un decreto deroga tenenziale che per migliorare le condizioni annonarie della popolazione fa obbligo di permettere l'allevamento delle galline nella città.
Sforzi enormi si sono fatti per liberare la città dai cani vaganti e prova ne sia gli acquisti di vari lacci e la riparazione alla carretta adibita al trasporto dei cani, eseguita fin dal dicembre u.s. Non mi è riuscito fino ad ora trovare la persona disposta a fare l'odioso mestiere di accalappiatura. Ora spero che mi sarà possibile in seguito all'imminente licenziamento dalle armi dell'ex-accalappiatore.
Per provvedere al 4° rimedio da lei indicatomi domenica scorsa ho compilato personalmente 100 contravvenzioni riguardanti all'inconveniente da lei lamentato.
Come ben vede già da tempo si è provveduto ai tanti inconvenienti da Lei esposti.
La prego per l'avvenire di essermi largo di consigli in antecipo perché così con la comune cooperazione si potrà ottenere nella maniera più efficace il miglior utile pubblico».

Il tono della risposta appare decisamente piccato dato che il sindaco ritiene di aver adempiuto ai suoi doveri e non accetta di essere ripreso in un settore che, a quanto dice, non ha trascurato affatto. A maggior riprova della sua attenzione per le condizioni igieniche della città porta un dato che per noi è di estremo interesse: su 12 mila abitanti soltanto 58 sono deceduti per l'influenza che ha fatto strage in tante altre località, come ad esempio Olmedo.
Naturalmente questo suo dato va controllato anche perché effettivamente ci pare molto basso.

2 Carmine Dupré fu sindaco dal 1915 al 1920. Dopo di lui Alghero fu amministrata fino al 1930 dal podestà Paolo Enrico.
3 Non è chiara l'allusione al fatto che il sindaco parla da professore. Forse intende rafforzare le sue parole con la qualifica professionale.



        Dati sulla mortalità ad Alghero dal 1910 al 1923



Per poter valutare la rilevanza dell'epidemia in città si è proceduto a rilevare il numero dei decessi ad Alghero nei registri degli atti di morte dell'Archivio Storico del Comune di Alghero e in quelli dell'Archivio Storico Diocesano negli anni dal 1910 al 1923.


La tabella riporta i dati divisi tra i deceduti in casa, all'ospedale e in carcere. Il carcere di Alghero aveva al suo interno una struttura sanitaria definita “ospedale” che offriva assistenza medica ai detenuti. Scorrendo i numeri si vede che nel 1918 si conta il maggior numero di morti nelle tre situazioni.
I dati dei registri della Curia non distinguono i luoghi del decesso e, come si nota, non coincidono con quelli comunali.
Difficile spiegare questo scarto che si presenta per ogni anno. Può essere comprensibile che i carcerati vengano seppelliti nel loro luogo di provenienza, e in generale ho osservato che ben pochi dei deceduti in ospedale figurano in diocesi, per motivi che non conosco. 



Procediamo ora con l'analisi della tabella e del grafico.

Calcolando la media sui dati comunali abbiamo 299 decessi all'anno nei 14 anni considerati, mentre nei quattro anni del conflitto la media è di 354 (+ 55). Nel 1918 contiamo + 36 rispetto al 1917 e + 172 rispetto al 1919. Nel 1918 vi è un consistente aumento dei deceduti in ospedale dovuto anche alla presenza di prigionieri di guerra (11) e di militari (8).

Un dato significativo è l'aumento dei decessi negli anni dal 1915 al 1918. Nonostante la nostra Isola non sia stata coinvolta direttamente nel conflitto, ha subito il razionamento del cibo4 per cui occorreva fare le file per gli approvvigionamenti degli alimenti che rincaravano e diventavano più rari come le uova e lo zucchero5. La penuria di generi alimentari era dovuta principalmente alla scarsità di addetti alla pastorizia e all'agricoltura, impegnati nelle operazioni di guerra. Negli anni del conflitto notiamo che il numero dei decessi si mantiene sempre piuttosto alto, fino ad arrivare alle 422 unità del 1918.
Per verificare il dato dei 58 morti per l'influenza di cui parla il sindaco Dupré ho allestito una tabella e un  grafico con il numero dei deceduti in ogni mese del 1918 a casa e in ospedale. Manca il carcere che rappresenta una realtà separata dal contesto cittadino.





Considerando la normale mortalità dl periodo autunnale non possiamo prendere per buono il dato di 58 morti per influenza che potrebbero invece aver raggiunto e superato il centinaio.


4 Ibidem, p. 787
5 Ibidem, p. 791