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venerdì 1 settembre 2017

Pioggia Improvvisa

PIOGGIA IMPROVVISA
PENSIERI IN LIBERTA'

Nella fretta di spogliarsi la sciarpa scivolò sul pavimento. Si chinò per raccoglierla e i capelli fluirono sul viso impigliandosi tra le labbra. Si sollevò infastidita, scostò quei ciuffi ribelli e li riportò con un gesto deciso dietro le orecchie.
I suoi occhi cercarono con insistenza un posto tranquillo dove sostare nell'attesa che quella pioggia improvvisa finisse di tempestare con grosse gocce la città divenuta in un attimo cupa e oscura.
Sui vetri l'acqua colava come impazzita senza una direzione e senza pause. Brividi di freddo aggredivano la sua schiena e le parve di tremare.  Sua madre era morta da poco più di due anni e da allora, nelle giornate di pioggia, la tormentava un senso di oppressione e di soffocamento.
Entrarono altre persone, cinque o sei ragazzi; sgocciolanti e chiassosi si avviarono verso un tavolo accanto al bancone colmando quello spazio con suoni provocati da passi, spostamenti di sedie, risate, imprecazioni, starnuti, mezze frasi e saluti.

La pioggia continuava a scrosciare e non dava alcuna speranza; Bianca si accorse che stava per precipitare in una situazione senza scampo. Come avrebbe fatto a passare quel tempo senza far nulla, senza un qualcosa da leggere, senza il minimo appiglio per occupare il suo cervello, senza la più piccola distrazione dalla vita ...
Fu presa dal terrore: si sarebbe messa a pensare! No, tutto, ma pensare no!  Già le si presentavano ricordi di frasi glaciali, di delusioni, di sconfitte.
Signorina, lei è troppo qualificata, le faremo sapere.
E quel giorno, quando ormai aveva creduto di aver conquistato l'amore e lo aveva visto insieme ad un'altra, molto più caloroso che con lei!
Anche sua madre, in fondo, le preferiva sua sorella.
Il suo essere spigolosa e integra le aveva allontanato opportunità, affetti, gratificazioni.
Lei era così, non sapeva perché, ma non poteva cambiare.
Non sopportò più quella tortura. Si alzò di scatto. Aveva visto sulle pareti dei quadri. Ecco, si sarebbe avvicinata per osservarli, si sarebbe distratta da se stessa, si sarebbe data una tregua.

Si mosse lentamente ma in maniera decisa scansando tavoli e sedie. Sulle pareti si apriva un mondo di colori che la riportava all'estate appena trascorsa.
Ombrelloni sgargianti e policromi raggruppano famigliole felici a un passo dal bagnasciuga. Un  mare, ambiguo e invitante, culla un cielo azzurro e profondo, meta di piccoli sogni che si perdono in lunghe ore di lavoro e di fatica.
Ma i piedi affondano nella bianca rena tra quei granelli microscopici frutto di accumuli millenari di conchiglie sbriciolate e gli occhi infastiditi dalla abbagliante luce solare si volgono alla pineta per riposarsi nel verde di migliaia di aghi così perfetti, così sottili, così eleganti in quei loro ventagli che ondeggiano alla brezza.
La tecnica di quei quadri era molto chiara: pastelli a cera su cartoncino bianco. Le sembrava quasi di vedere le dita dell'artista stringere il pastello e muoverlo velocemente sul foglio per rubare le forme alla realtà. Erano proprio delle istantanee che qualcuno aveva creato forse per mantenere nella memoria particolari atmosfere di istanti  irripetibili.
A volte ci sembra di rivivere sempre le stesse situazioni ma non è così. Panta rei, tutto scorre. Quegli scorci, quei gruppetti sotto l'ombrellone, ci sono ogni estate, ma niente è uguale, niente è come sempre.





Una radice fuori dalla duna inquadra la città sullo sfondo. L'estate si era ormai chiusa per aprirsi in un autunno a giorni tiepido e dolce, a giorni brusco come i tuoni che a tratti si sentivano in lontananza. Il presente dell'estate si era trasformato in passato. Eppure sembrava più vicina la calda stagione perché dalle pareti quelle forme colorate emanavano una vita così prepotente che inondava tutti gli spazi, anche i più scuri e remoti.
Catturata da quel sortilegio non riusciva a staccarne lo sguardo.
Un lampo accecante seguito dal rimbombo del tuono vicino illuminò per una frazione di secondo una chitarra appoggiata in un angolo buio del locale. Si avvicinò per osservarla meglio. Era una chitarra classica, a sei corde, da studio, come la sua.
La sua  attrazione per le chitarre datava da molti anni, fin dal suo primo incontro. Aveva meno di dieci anni e si trovava a Sassari, a casa di sua zia. La sera precedente c'era stata una festa e la chitarra era rimasta nella camera da pranzo, su una sedia, portata da un ospite che doveva tornare a riprenderla. Per lei fu amore a prima vista. Allungò la mano ma la ritirò immediatamente. Non osava toccare le corde, chissà perché le sembrava una profanazione di un sacro mistero.  La fissò a lungo studiandone la forma, il grande buco oscuro e arcano, le lunghe corde tese nel loro enigmatico silenzio, il manico, le chiavi. Era bellissimo vedere la luce che si rifletteva sulla lucida superficie del legno.
Arrivò sua zia che, quasi leggendole nel pensiero,  le disse subito di non toccarla e lei si ritirò nella cameretta. Quando tornò nella sala la chitarra non c'era più.
Con il suo primo introito del suo primo lavoro comprò una chitarra da due soldi, giusto quello che poteva permettersi. Più avanti però decise di acquistare una chitarra seria, da studio, e certamente non si pentì. Quel suono era spesso il suo unico compagno in qualsiasi stagione, a qualsiasi ora della giornata.
Prese lo strumento e si sedette sulla sedia vicina. Appoggiò il piede sinistro sulla traversa di un'altra sedia e provò l'accordatura. Nel frattempo pensava a quale musica eseguire. Chissà perché, ma spesso aveva dei vuoti di memoria per cui all'inizio le sue mani ciondolavano senza sapere che cosa fare. Poi le dita cominciarono a muoversi da sole, come se conoscessero quel sentiero di note e accordi. Il suono le piacque molto; era nitido, deciso, penetrante. Andò avanti per un po', quindi involontariamente iniziò un canto a bocca chiusa. Intanto il suo pensiero volava indietro nel tempo e tornava ad un'estate di tanti anni fa quando, appena adolescente, sostava nella sua camera con le persiane socchiuse mentre i sogni, tanti sogni, riempivano quello spazio che si dilatava fino a contenere l'universo.
Una mattina però entrò in quella tiepida penombra una presenza sconosciuta. Era una voce di donna che cantava. Si avvicinò alla finestra e percepì alcune parole di quel canto: "Chiagneva sempe ca durmeva sola, mo dorme co' li muorte accompagnata... " Ascoltò con grande attenzione ma nonostante lo sforzo comprese solo a tratti i significati di quei versi. Intanto quella melodia si insinuava dentro di lei e le dava una profonda pena. La morte: l'aveva colpita l'idea di quel sonno eterno forse meno triste perché condiviso con tanti altri, non solitario. "Dormire accompagnata dai morti" le sollecitava pensieri 
tanto assurdi quanto consolatori.
Poi il canto finì. Lei aveva schiuso piano la persiana per cercare di capire da dove poteva raggiungerla quella voce, ma vide solo tante finestre tutte uguali, silenziose, spalancate ma complici nel proteggere il mistero.
Nel corso dell'estate sentì più volte quel motivo e alla fine aveva imparato anche lei le parole. Non riuscì mai a dare un volto a quella voce e lei immaginò che fosse una giovane donna forse molto triste, forse molto innamorata, o forse soltanto un po' malinconica e nostalgica della sua amata terra.
Mentre le dita continuavano a muoversi automaticamente sulle corde il canto muto si trasformò e si articolò in parole sussurrate, appena comprensibili. Il locale sparì dalla sua percezione, non c'era più pioggia né vento: esisteva soltanto il suono della chitarra e la sua voce che davano vita a una melodia incredibilmente dolce e trascinante "Fenesta ca lucive e mo nun luce..." La finestra buia, lo stretto e lungo vicolo acciottolato, il silenzio umido e angoscioso di una lontana città, la giovinezza che si spegne con rassegnazione e con una completa sottomissione al fato, l'eterna rinuncia alla felicità di un amore che non avrà più un futuro. Sentì un tremolio nella voce e una lacrima lentamente segnò la sua guancia. La lasciò scorrere e smise di cantare.
La sua voce fu subito sostituita da un altro suono. Un flauto traverso accompagnava adesso la chitarra. Lei non alzò gli occhi dal manico del suo strumento e continuò a suonare. Quando arrivò alla conclusione del brano rimase in pausa aspettando che chi aveva suonato il flauto si allontanasse. Non era in vena di parlare né di ascoltare, voleva godersi in solitudine quella magica atmosfera che lei era riuscita a creare.
Invece quel momento così unico fu spezzato da un accenno di applauso e da una voce maschile che disse qualcosa che lei si rifiutò di ascoltare.
I capelli le nascondevano in parte il viso e lei non li scostò. Si sollevò, rimise la chitarra nell'angolo buio e tenendo gli occhi rivolti al pavimento di ceramica chiara ed opaca tornò al suo tavolo.


I Pioggia improvvisa - Carthago delenda est
Guardò verso le vetrate. Si accorse che ormai era sceso il buio. Si avvicinò ad una finestra e vide che la pioggia era quasi cessata.  Si mise il giubbotto, prese in mano la sciarpa e si avviò verso la porta per uscire finalmente da quel locale.
Si vedeva già nel suo piccolo soggiorno accoccolata sul divano con una tazza di cioccolata calda in mano dopo aver indossato un comodo golfo e una morbida gonna di lana lavorati a mano da lei durante le lunghe sere invernali dopo cena, mentre teneva accesa la TV prima di andare a letto.
Spinse la porta e uscì per strada. Sentì subito l'odore penetrante caratteristico  della terra bagnata che proveniva dai terreni intorno ancora liberi da costruzioni. Le automobili correvano lanciando lampi di luce e spruzzando ignare l'acqua delle pozzanghere su marciapiedi e passanti. Ben presto si accorse che la pioggia aveva ripreso a cadere rovesciandosi sull'asfalto con pesanti schizzi rumorosi .  Accidenti! Non era proprio possibile andare avanti.
Strinse i pugni dalla stizza e, non avendo alternative, corse verso il locale. Entrò e senza spogliarsi si sedette al tavolo vicino alla porta. Voleva essere pronta a sgusciare via da quel posto prima possibile. Ma subito sentì che il giubbotto bagnato le dava fastidio, così decise di liberarsene. Le tornò il freddo, si sentì a disagio e si alzò quasi senza volerlo.  Guardò fuori e si accorse che la pioggia scrosciava incessante, senza tregua, e luccicava contro il buio, illuminata dai fari delle automobili.
Tanto valeva prendere lì la cioccolata. Certo non sarebbe stata come la sua, non gliel'avrebbero servita in una tazza di porcellana bordata di oro zecchino, e le sue dita non avrebbero sentito il caldo contatto di un cucchiaino d'argento. Le sarebbe mancato il rito ma non aveva scelta, in quel momento aveva un'assoluta necessità di qualcosa di caldo e di confortante.
Il barista commentava con un altro cliente: "È arrivata la pioggia ... e chi se l'aspettava? Si può dire che fino a ieri si andava in spiaggia..."  Si rivolse a lei con un sorriso: "Desidera?"
"Una cioccolata calda" Mentre lo diceva la sua voce le parve strana, quasi quella di una sconosciuta.
Ogni tanto le capitava di non riconoscere la sua voce e di odiarla.
Dopo poco tempo si vide davanti la tazza con la cioccolata fumante. "Xocolatl" era il suo nome azteco. Moctezuma la beveva fredda, con il pepe e altre spezie, e non la poteva diluire con il latte perché in America non c'erano pecore e mucche. Era il cibo degli dei che i comuni mortali avevano il privilegio di poter sorbire per fare il pieno di energie fisiche e mentali.
A lei piaceva caldissima, al limite della scottatura della lingua, perché così ne gustava in pieno l'aroma e si sentiva riscaldare dentro, nell'ignoto spazio interiore dove spesso regnava il gelo.
La bevanda la conciliò con quella situazione assurda e cercò di guardarsi intorno per prendere consapevolezza dell'ambiente di cui era prigioniera. I quadri li aveva già visti, con la chitarra aveva fatto la conoscenza, non rimanevano altro che le persone.
Un quadro ha un suo messaggio, tu puoi accettarlo o rifiutarlo e tutto dipende da te, ma con le persone non funziona così. Hai davanti un antagonista, uno che può mettere in crisi le tue certezze, demolire i tuoi ragionamenti, scavare dentro di te per scoprire ciò che nemmeno tu conosci, e distruggere con una sola frase le tue faticose costruzioni mentali.
C'è chi adora conoscere persone nuove perché si illude di stabilire rapporti umani di amicizia, stima, apprezzamento. Pensa di avere un amico in più su cui contare in caso di necessità, o di aggiungere un nuovo nome alle liste degli invitati alle feste. Talvolta quando fai una nuova conoscenza ti sembra di aver trovato qualcosa di unico, di interessante, così simile a te che ne sei stupita tu stessa. Ma quando si accende il lume della ragione vedi una massa di individui instabili che vaga sulla Terra alla ricerca di un sostegno; ma nessuno vuol fare da sostegno, tutti vogliono essere sostenuti.
Da quando aveva intuito questa inesorabile evidenza, Bianca aveva smesso di avvicinarsi ai suoi simili perché aveva sempre l'impressione che le si attaccassero addosso con dei micidiali viticci che prima o poi l'avrebbero soffocata.
Evitava, quando poteva, anche le semplici conversazioni di cortesia. Il pericolo era sempre in agguato.
Il suo bisogno di contatto umano era ampiamente soddisfatto dal rapporto che riusciva a stabilire con gli scrittori, quelli morti, ovviamente. Per lei, che era letteralmente catturata dai russi, leggere Cechov, Puskin, Gogol, Tolstoj era come parlare con un amico. In loro ritrovava il suo mondo ed era sicura che mai l'avrebbero delusa o tradita. Anche con Proust aveva stabilito un certo rapporto, ma lo trovava più ricercato, meno spontaneo. Peccato che ormai avesse letto e talvolta anche riletto tutte le loro opere. Doveva ora accontentarsi di qualche francese o, siccome era interessata alla storia, aveva passato in rassegna diverse opere di James Michener per non parlare di un libro che l'aveva entusiasmata, "Sarum" di un inglese di cui ora non ricordava il nome. Era riuscito a raccontare la storia della propria città, l'antica Sarum, poi Salisbury a partire da Paleolitico e aveva percorso i millenni parlando di una famiglia che aveva occupato quel territorio per generazioni e generazioni fino ad arrivare ai nostri giorni. Uno stupendo viaggio nel tempo di persone che, di padre in figlio, attraversavano le varie epoche dell'umanità adattandosi a tutti i cambiamenti che ogni generazione sperimentava.
Tutti questi pensieri la tenevano occupata mentre sorseggiava la cioccolata che era diventata tiepida. Annoiata, si guardò intorno e si imbatté in una palma che svettava da un vaso. Non era una palma nana, né una Washingtonia, piuttosto le sembrava una palma da dattero, come quelle che le crescevano nei vasi dove lei buttava i semi dei datteri. Si ricordò di una palma mai cresciuta perché mai seminata. Aveva acquistato i datteri in Tunisia in quella oasi nel deserto meta dei turisti che la attraversano sopra carrozze tirate da cavalli.  Tornata a casa sentì un rifiuto a dare a quei semi una speranza di vita in un vaso.
Quel seme non avrebbe mai potuto conoscere la sabbia delle lontane oasi, non avrebbe mai visto lunghe mistiche foglie librarsi nel cielo africano partendo dal suo cuore, non avrebbe mai sentito il caldo infuocato su di sé. Forse sarebbe divenuto sterile vegetazione con frutti immaturi ed aspri ma nessuno avrebbe più potuto restituirgli distese immense e cieli e terre natii.
A Cartagine lei aveva cercato le sue radici tra millenarie pietre. Le aveva trovate in un tunisino che raccontava la pena di un popolo che, come il seme di dattero, aveva visto spezzarsi ogni speranza di vita e aveva visto sciogliersi quel disegno già elaborato con tratti decisi e con i colori dell'avventura e dell'allegria attraverso mari e spiagge lontane, al di là dell'orizzonte. Fino a Delenda Carthago, e così fu. 
I Punici erano approdati in Sardegna, forse non erano proprio solo mercanti, e nei loro velieri prendevano posto anche i soldati con i loro cavalli. Hanno fondato città sui nuraghi, hanno colonizzato le coste, e le loro divinità sono diventate le nostre. 
Bianca fece un profondo sospiro e sentì finalmente svanire quella tensione che la opprimeva da quando era rientrata nel bar. La sua voglia di passato aveva finalmente trovato un angolo dove ancora era lecito cercare se stessa senza nascondere parole e gesti, sguardi e sorrisi. Il fascino di antiche genti, delle quali anche lei portava il segno, la coinvolgeva dolcemente e la rendeva sensibile alla loro piacevole fisionomia, all'acutezza e profondità del loro pensiero e ad un'umanità che riusciva a svelare l'essenza di tutto ciò che è reale come se fosse stato da sempre davanti ai suoi occhi.
Forse la loro lingua aveva parole più adatte per esprimere i pensieri che nascono in chi cerca di penetrare in mondi interiori sconosciuti fino a farsene sommergere. Anche la sua barriera antiuomo era crollata di fronte al passato che la coinvolgeva e nello stesso tempo la preservava da sogni e illusioni su un futuro blindato e non modificabile.
Ma ben presto scialbe e vuote immagini si sarebbero sovrapposte al ricordo di mitici racconti e di antichi resti animati da moderne presenze modellate da centinaia di generazioni. E poi, forse, la ricerca del passato era per lei una fuga dal presente. Quel che non c'è più è comunque un punto fermo, un riferimento sicuro per chi ancora deve trapassare. Nel non senso di tutto ciò che Bianca percepiva intorno le sembrava che, se esisteva un valore, questo era nel mondo che non aveva conosciuto, in quei giorni persi per sempre.
Era dunque una rinuncia alla vita? Era paura di mettersi in gioco, di assumersi responsabilità, di dare forma concreta ai suoi pensieri, ai suoi desideri? I giorni passavano, i mesi trascorrevano, gli anni volavano e nulla cambiava.




In un piccolo vaso di cristallo appoggiato sul bancone vide una rosa dai colori sfumati che prendeva la scena a frondosi tralci di edera argentata e a tre alti papiri. I petali color rosarancio ostentavano una superficie ricca di leggeri e simmetrici rilievi che  davano l'impressione di una seta pregiata.
Quella presenza silenziosa apriva scenari di giardini con roseti fioriti, gruppi di papiri che svettavano con le loro infiorescenze verdi su incredibili steli lunghissimi apparentemente esili che si allungavano per superare la vegetazione intorno alla conquista di un raggio di sole, e antichi muri fatti a pietra e fango ricoperti da edere argentate.
La regina dei fiori, al massimo del suo splendore, mostrava una bellezza che non poteva avere rivali. Ma Bianca, osservando meglio, aveva visto qualche segno di stanchezza nei risvolti dei petali, già completamente aperti, che rivelavano un cuore di stami e pistilli, il centro della vita. Il suo ciclo si avviava alla conclusione. Forse domani già un primo petalo sarebbe caduto,  poi un altro, e un altro ancora. Mentre l'edera e il papiro avrebbero continuato a trionfare, per la rosa sarebbe presto arrivata la fine.

Pioggia improvvisa - Van Gogh

- Ehi, Antò! Guarda un po' questo capolavoro...
- Fammi vedere ...
Prese il cellulare e scrutò il piccolo display.
- E questo che cosa è? Non si capisce niente. Sembra uno scarabocchio.
- Certo con la tua ignoranza non puoi capire questa meraviglia Scommettiamo un caffè che questa signorina invece la riconosce al volo. Mi scusi, signorina, ho fatto una scommessa perché secondo me lei sa riconoscere questo soggetto.
Bianca era totalmente immersa nel suo intricato mondo interiore. Non riusciva a venir fuori da quel groviglio che diventava sempre più fitto e avvolgente. Una voce echeggiava da un lontano universo, si diffondeva nell'atmosfera con suoni umani penetranti ma incapaci di trasmettere significati.
Si accorse di tenere stretta tra le mani una tazza ormai diventata quasi fredda e lentamente riprese i contatti con la realtà. Si volse verso il punto dal quale erano partiti quei suoni e vide una mano che le tendeva un cellulare. Sollevò appena lo sguardo e incontrò due occhi sorridenti e dubbiosi che si interrogavano sull'opportunità di continuare il tentativo di mettersi in contatto con la ragazza della cioccolata. Un rifiuto non lo avrebbe messo in difficoltà, dato che era abituato a riceverne come tutte le persone che cercano una relazione con gli spazi circostanti che non sempre vogliono essere violati.
Bianca non fece in tempo a rifiutare l'approccio, che vide sul piccolo display la "Notte stellata" di Van Gogh con una figura femminile in un angolo.
Guardò a lungo in silenzio ma a un tratto la mano che reggeva il telefono si ritirò. Sentì una voce scherzosa che diceva:
- Il tempo è scaduto. Allora sa che cosa è? Su, non mi faccia perdere la scommessa!
Beh, era tra i suoi quadri preferiti. Quel cielo scuro popolato di luci provenienti dal lontano spazio le davano un senso di appartenenza all'universo e poi le piacevano da morire quelle pennellate decise, sicure, avvolgenti che fanno sembrare lo spazio infinito così vicino, così intimo, così interiore. E i colori poi la sconvolgevano con le tante tonalità che, pur fredde, avevano un loro centro sfolgorante che pareva dover esplodere all'improvviso Quegli azzurri, quei gialli, stimolavano la sua voglia di casa, di calore in una di quelle minuscole costruzioni del paese dove un'umanità semplice e laboriosa aveva creato un rifugio tiepido e confortante per una vita fatta di duro lavoro e  di stenti.
Un cielo sempre uguale per esistenze sempre diverse che si succedono come i fiori dei prati che cambiano ad ogni stagione in uno stesso prato.
Chissà perché ora si sentiva tanto leggera, come se dovesse aprire delle magnifiche immense ali per sovrastare quello spazio soffocante e ristretto...
Perché la vita non è mai come la vorremmo? Perché il volo di chi lascia il nido è spesso devastante? Perché non c'è risposta ai nostri richiami, anche quando diventano interiori urla di soccorso?
- Mi scusi, sta bene? Ha bisogno di qualcosa?
Pioveva ancora, ancora il vento strappava le foglie dagli alberi; qualcuna smarriva la strada, arrivava sui vetri e ci si attaccava sopra, quasi a curiosare là dentro, dove c'era gente che rideva, parlava, riempiva frammenti di tempo in attesa del dopo.
Lei aveva bisogno di qualcosa? Si, aveva bisogno di tanto, ma nessuno lo sapeva e nessuno poteva darglielo.
- Hai visto? Neanche la signorina sa cosa diavolo hai dipinto.
- Ma la scommessa non è ancora persa. Adesso chiedo a quei ragazzi.
- Ehi, ehi, non cambiare le carte in tavola. Il patto era che lo doveva riconoscere lei.


Bianca, senza alcuna volontà da parte sua, sentì dei suoni raggiungere le sue labbra. Non voleva parlare, ma quasi in trance disse:
- Che cosa ci fa una donna nella "Notte stellata" di Van Gogh?
Lo disse con voce decisa e ironica, senza guardare in faccia il destinatario, come se stesse parlando con se stessa, come faceva tante volte nella solitudine della sua casa, a volte senza neanche accorgersene.
Parlava da sola. Era l'unico modo per esprimere opinioni, ma il bello era che spesso si sdoppiava e rappresentava due punti di vista sulle questioni.


- Dovresti essere meno acida
- Ma io non sono acida, solo che non sopporto la faciloneria, il menefreghismo, l'opportunismo degli altri.
- Se continui così finirai col diventare una vecchia zitella sola e incattivita.
- Oh basta con le prediche, adesso devo occuparmi della cena.
Erano monologhi/dialoghi di questo tipo. Insomma, non riusciva ad andare d'accordo neppure con se stessa.

- Beh, che ti dicevo? La signorina ha indovinato e adesso mi devi offrire un caffè.
- E chi mi dice che ha indovinato? Signorina, è sicura di quello che ha detto?
- Sicura, sicurissima. È una manipolazione di un dipinto di Van Gogh.
- Mi scusi, perché parla di manipolazione? Ho soltanto adeguato la notte ottocentesca alle mie fantasie. Ho inserito un elemento che si fonde con il paesaggio remoto, una creatura che è quasi un astro che però vive sulla terra. La mia donna è come una stella per me ma non sta in cielo.
- Mamma mia che sofisticheria! Ha una bella faccia tosta! Prende un dipinto bell'e fatto, con un suo linguaggio ben definito e lo stravolge per suo comodo! Viva Van Gogh!
- Ah certo, non tocchiamo i mostri sacri! Mi dispiace ma, se parla così, è perché  lei vive nell'epoca di Van Gogh.

A questo non aveva mai pensato. Forse aveva proprio sbagliato epoca. In realtà il pittore aveva sottolineato la sua mentalità antiquata e rancida, ma lei lo aveva preso come un complimento.
- Meglio essere ottocenteschi che mistificatori.
- Ho notato come ha guardato i miei lavori a pastello poco fa. Mi è sembrato che le siano piaciuti.
- Ah, sono suoi?
Bianca volse lo sguardo intorno per rinfrescare la memoria. Voleva trovare qualcosa di molto offensivo da dire ma non ci riuscì. Che cosa si poteva dire di quelle istantanee marine così vivaci, immediate, seducenti ...

 Posò la tazza vuota sul bancone davanti a sé e si accorse che la mano le tremava. Evitò di guardare quell'inquietante movimento e si lasciò assorbire dal rumore della pioggia sul tetto. Era uno scroscio incessante che ormai le dava l'angoscia. Forse la strada si era già trasformata in un fiume di acqua sporca che un po' stagnava e un po' correva verso i tombini ormai intasati e incapaci di smaltire quella massa liquida fangosa Sentiva rari automezzi transitare lenti, a passo di guado in mezzo all'acqua, accompagnati da schizzi involontari che si sollevavano con piccoli vortici ad ogni giro si ruota.
Aveva voglia di guardare per strada ma non riusciva a muoversi. Era come bloccata lì, davanti al bancone, e provava imbarazzo perché si sentiva osservata dal pseudo-pittore, dal cameriere e, ad un certo punto, le parve che tutti avessero gli occhi fissi su di lei. Si sentiva tremare, e non capiva che cosa le stesse accadendo.
Fu il pittore ad allontanarsi e lei si sentì meglio, riuscì a sollevare lo sguardo, e si accorse che nessuno la guardava. Il gruppo dei ragazzi era diventato più silenzioso, qualcuno giocava col cellulare, qualche altro parlottava con il vicino, o beveva la sua birra, e negli altri tavoli c'era chi aspettava in silenzio la fine dell'acquazzone e chi approfittava di quella sosta forzata per leggere il quotidiano. Da più di mezz'ora non entrava più nessuno nel locale e arrivavano telefonate di clienti che chiamavano per annullare la prenotazione. Antonio, il cameriere, era gentile con tutti, ma una volta messo giù il telefono diventava scuro in volto e si lamentava perché quella serata si presentava 
piuttosto magra.


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