Il Qualté in fase finale di ristrutturazione (25 marzo 2013)
Ci sono città che nella loro naturale trasformazione hanno avuto la fortuna di conservare le tracce più significative che il passare del tempo vi ha impresso. Ormai è acquisito che il centro storico di ogni luogo abitato debba mantenere le antiche caratteristiche nelle forme e nei materiali usati. Possiamo pensare che tutto ciò abbia uno scopo turistico, ma possiamo anche credere che per un cittadino sia fonte di conoscenza storica poter acquisire la stratificazione di architetture ed usi dei luoghi a lui familiari.
Alghero è una città che
da diversi anni mostra di avere le idee confuse su ciò che è la
propria storia. In particolare crede che sia storia solo ciò che ha
diversi secoli. Per questo motivo ha demolito la parte del novecento
della costruzione del porto posta nei pressi della Torre della
Madonnina mentre ha lasciato il piano terra che risale, pare,
all'Ottocento.
Se per un attimo
chiudiamo gli occhi ci appare Alghero come era e come non è più. La
vecchia stazione di fine ottocento, il capannone della ex-Saica, il
cimitero monumentale della Mercede, la cinta muraria, la casa Manno,
il Cavallino Bianco, la chiesa di Santa Croce, gli stabilimenti del
crine, ...
Era sempre necessario
demolire? Non si potevano forse conservare le strutture
sottolineandone gli aspetti d'epoca e dando loro un nuovo utilizzo?
Diciamo ai giovani: “Qui c'era il cimitero con tante sculture e
lapidi che testimoniavano l'esistenza di cittadini che hanno vissuto
due secoli fa, in questa zona sorgeva la stazione di fine ottocento,
di fronte c'era uno stabilimento che ha dato lavoro a tanti
algheresi, e poi c'erano tante fabbriche del crine, e qui è nato
Giuseppe Manno, ma adesso c'è una piazza, la città era tutta
racchiusa da alte muraglie, c'erano tanti rivellini, e qui c'era il
Cavallino Bianco, una terrazza dove gli algheresi venivano a godere
delle belle giornate di sole, mentre là c'era la sinagoga ebraica,
...”
Insomma, un libro di
storia a cielo aperto. Per non parlare del pozzo sacro di epoca
nuragica della Purissima, del quale non rimane traccia e della ricca
e sorprendente zona del Qualtè ormai ricoperta da pavimenti che
hanno scritto la parola “oblio” sul Medioevo algherese.
Passata la nostra
generazione anche queste memorie spariranno. Allora sarebbe bello
poter capire se il passato ha un valore che supera il tempo oppure è
vecchio, inutilmente ingombrante, un peso di cui alleggerirsi.
Alghero città turistica.
C'è anche chi vive di passato, di ciò che ha attraversato i secoli
per raccontarci vicende insospettabili di lavoro, di fatica, di
voglia di superare le difficoltà per cercare di raggiungere migliori
condizioni esistenziali per sé e per i figli. Ci sono personaggi che
hanno dato tanto al luogo nel quale sono vissuti, dei quali non si
conserva neppure il nome, già scritto su lapidi distrutte perché
obsolete, antiquate, precocemente dimenticate.
Ma non sono i cittadini a
decidere. Noi dobbiamo solo subire decisioni delle quali non
arriviamo a capire la logica neppure se mettiamo in campo tutte le
nostre capacità di ragionamento. Cerchiamo di giustificare, di
comprendere, ma non riusciamo ad arrivare fino in fondo. Inutile! Ci
si presenta sempre una città murata, con la sua stazioncina sul mare
dove da studenti prendevamo di corsa il treno, la vecchia casa Manno
con la lapide che ci ricordava la nascita dell'autore della “Storia
della Sardegna”, il Cavallino Bianco con il suo ghiaino che
sembrava fatto di confetti, l'ex-Saica, così brutta ma così
suscettibile di diventare altro, e il vecchio cimitero monumentale,
luogo deputato a conservare la memoria di quanti ci hanno consegnato
la città perché facessimo di più e meglio.
Il Cavallino Bianco, terrazza sul mare, negli anni cinquanta è stato edificato su progetto dell'architetto Antonio Simon Mossa e ha preso il nome di Cavall Marì. Subito dopo è diventato il Night Club "El Fuego". E' stato poi trasformato in discoteca e ristorante: il Tris Blu, poi Caligola.
Da ultimo il Comune ne ha fatto uno spazio culturale - sala convegni fino almeno al 2011. Regno incontrastato di vandali e piromani, oggi è un rudere brutto da vedere e pericoloso per i tanti che, nonostante il divieto, vi salivano sopra prima che la zona fosse tutta transennata.
Perché non ripristiniamo la bella terrazza sul mare? O aspettiamo che il degrado e l'incuria facciano il loro corso?
Da ultimo il Comune ne ha fatto uno spazio culturale - sala convegni fino almeno al 2011. Regno incontrastato di vandali e piromani, oggi è un rudere brutto da vedere e pericoloso per i tanti che, nonostante il divieto, vi salivano sopra prima che la zona fosse tutta transennata.
Perché non ripristiniamo la bella terrazza sul mare? O aspettiamo che il degrado e l'incuria facciano il loro corso?
Rimaniamo increduli e
sconcertati di fronte a decisioni che cancellano ogni traccia del
passato. Dopo tanti anni di scavo archeologico nel Qualtè, dopo la
scoperta di un cimitero medievale così esteso da essere uno dei
pochi esempi nel Mediterraneo, vediamo che ogni traccia è stata
nascosta allo sguardo di chi vorrebbe vedere, vorrebbe conoscere,
vorrebbe capire. Ci chiediamo: perché?
Vorremmo solo conoscere
le motivazioni di tale obliterazione dato che a noi comuni mortali
sembrava naturale che la zona fosse messa in evidenza sia per
lasciare ai cittadini la possibilità di confrontarsi con il proprio
passato, sia per dare al turista il modo di apprezzare lo spessore
storico del luogo prescelto per le sue vacanze.
Il complesso del Qualté
è stato un luogo praticato da tanti cittadini. Nel dopoguerra è stato occupato dagli sfollati, poi dai senzatetto. Fino agli anni
sessanta i ragazzi vi frequentavano la scuola media, e il cortile
era la palestra. Poi la scuola media si è trasferita in via Tarragona e il suo posto è stato preso dalla Biblioteca Comunale mentre in un altro ambiente è stata allestita la Biblioteca di
San Michele.
Era alta dunque l'aspettativa dei cittadini di vedere cosa celassero quelle pavimentazioni. Ma ciò che era sepolto è stato di nuovo interrato. Solo una mostra fotografica può darci una pallida idea dei ritrovamenti. E di questo dobbiamo ringraziare l'archeologo Marco Milanese che ha reso pubblico il suo lavoro in tempo reale.
Era alta dunque l'aspettativa dei cittadini di vedere cosa celassero quelle pavimentazioni. Ma ciò che era sepolto è stato di nuovo interrato. Solo una mostra fotografica può darci una pallida idea dei ritrovamenti. E di questo dobbiamo ringraziare l'archeologo Marco Milanese che ha reso pubblico il suo lavoro in tempo reale.
Posso affermare che il
sentimento comune è una grande delusione mista anche a rabbia,
perché chiunque è in grado di capire l'importanza di un tale sito
in una città turistica.
Dubito che gli algheresi possano avere delle risposte da una classe dirigente palesemente
insensibile ai contenuti culturali anche quando ci sarebbero dei
ritorni economici. Chissà da che cosa dipende! Certo che tutte le
ipotesi sono plausibili: l'ignoranza, il disinteresse per quanto
esula dal proprio immediato tornaconto, la pressante preoccupazione quotidiana di
mantenersi sulla poltrona, e in definitiva il mancato amore per la
propria città.
E se così non è, vorremmo sapere se
tali decisioni spettano ad altri, quale ruolo ha la Sovrintendenza ai
beni archeologici e culturali, insomma a chi dobbiamo nel bene e nel
male, la manomissione del nostro territorio.
Credo che la trasparenza
contempli che si possano individuare i responsabili di decisioni che
comunque ricadono su di noi e che se ne possano almeno conoscere le
motivazioni.
Per commenti e messaggi:
tilgio@virgilio.it
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