1918
Spagnola - 2020 Coronavirus
L'attualità di un'emergenza improvvisa quanto imprevista ci ha messo di fronte a eventi che credevamo appartenere soltanto a un lontanissimo passato, dei quali peraltro si è raccontato sempre molto poco. Tra i ricordi familiari talvolta erano comprese le guerre, i libri di storia si sono sempre occupati dei momenti epocali della nazione, e solo ultimamente qualcuno ha iniziato a ricercare, in documenti d'Archivio fino ad ora mai consultati, come vivevano quei milioni di persone senza volto e senza nome che quotidianamente tribolavano la giornata per cercare di sopravvivere alla natura e ai potenti di turno. Crediamo di conoscere la storia ma in realtà abbiamo soltanto memorizzato nomi, date, eventi che sono l' effetto della volontà di pochi e che non rispecchiano certamente la grande varietà di situazioni, accadimenti, stati d'animo che hanno dato una fisionomia reale e concreta al nostro passato e che permeano il nostro presente.
1918
– La pandemia di Spagnola
Nei
primi mesi dell'autunno 1918 la popolazione si è trovata soverchiata
da due elementi contro i quali non aveva alcuna difesa. Infatti alla
guerra, decisa dai gruppi di potere, che aveva stremato le famiglie
per più di tre anni, si è aggiunta la forza della natura che ha
scatenato contro l'umanità un micidiale nuovo virus dell'influenza.
Il
termine “Spagnola” evoca un'epidemia della quale però conosciamo
solo il nome. Eppure in questi giorni stiamo vivendo un'esperienza
che, per alcuni aspetti, si presenta molto simile a quella vissuta un
secolo fa dai nostri avi. Anche allora il nemico è arrivato in
silenzio, non si è fatto riconoscere subito, ma con il passare dei
giorni ci si è accorti che non si trattava di una normale influenza
perché tanti, troppi contagiati morivano per le sue complicazioni:
tracheobronchiti, bronchiti acute, catarri soffocanti, edema
polmonari e polmoniti che, in assenza assoluta di farmaci adeguati,
conducevano rapidamente alla morte. L'unica raccomandazione dei
medici era di evitare il contagio e di curare in particolare la
pulizia delle mani, delle cavità nasali e della bocca. Alcuni
consigliavano di introdurre vaselina nelle narici per impedire
l'accesso ai microbi oltre ad effettuare polverizzazioni nel naso con
olio mentolato.
Le
cure praticate erano costituite principalmente da analgesici,
antisettici e disinfettanti. Negli ospedali si praticavano iniezioni
a base di canfora utili per le congestioni delle vie aeree superiori
e inferiori specialmente in presenza di tosse, siero
antipneumococcico per ridurre il rischio di polmoniti, e inoltre si
somministravano fenolo (antisettico) e mentolo per alleviare le
irritazioni delle vie aeree.
La
popolazione si riforniva di chinino nonostante i medici avessero
chiarito che il farmaco non aveva alcuna efficacia in caso di
influenza. Presto le scorte di chinino scarseggiarono a danno dei
malati di malaria nelle campagne e nelle zone di guerra. Nelle
farmacie si acquistavano espettoranti, e molti ricorrevano ai vecchi
rimedi di medicina popolare per i brividi di freddo e per la febbre
come fumigazioni, decotti, sciroppi, applicazione di tegole o mattoni
caldi.
Le
persone più colpite erano i ragazzi e i giovani adulti. In tutto il
mondo il tasso più elevato di mortalità si è riscontrato negli
individui con un'età compresa tra i quindici e i quarant'anni. Pare
infatti che gli anziani fossero più resistenti al contagio in quanto
già colpiti dall'influenza del 1889 e quindi immunizzati.
La
stampa tranquillizzava la popolazione ma in contrasto con tali
rassicurazioni si prendevano subito drastici provvedimenti: veniva
rinviata l'apertura delle scuole elementari ed erano proibiti gli
assembramenti. Si vietarono le visite in ospedale dove i contagiati,
se era possibile, venivano isolati.
Si
raccomandava particolare attenzione nella pulizia e disinfezione di
case, uffici, chiese dove si chiedeva che venissero disinfettati con
cura i banchi e i confessionali. Si sospesero le feste patronali e si
consigliava di ridurre al minimo la frequentazione di teatri e locali
cinematografici Col passare dei giorni, nonostante i giornali
continuassero a rassicurare sul decrescere dell'influenza, si
attuarono ulteriori restrizioni che modificavano anche i rapporti
sociali: vietato visitare gli ammalati, porgere le condoglianze,
partecipare ai funerali. Anche gli abbracci, i baci e le strette di
mano erano messi al bando. Mussolini scriveva sul “Popolo d'Italia”
che se la sudicia abitudine di stringere la mano fosse stata vietata,
la spagnola sarebbe scomparsa nel corso di una notte.
Finalmente
intorno alla metà di novembre la malattia iniziò a regredire, per
cessare alla fine del febbraio successivo.
Una
stima fornisce la cifra di 12 mila decessi nell'Isola e la fascia di
età più colpita è quella tra i venti e i quarant'anni. Dal 1915 al
1918 erano morti in guerra 13.602 soldati sardi.
2020
– La pandemia di Coronavirus
In
questi giorni il nostro pensiero è andato a epoche lontane, delle
quali abbiamo letto nei libri di storia e nei romanzi, che parlano di
terribili epidemie, di lazzaretti, di fosse comuni, e di quanto di
più tragico hanno dovuto subire le popolazioni nei secoli passati.
Inizialmente
molto increduli, ci siamo trovati nel bel mezzo di una pandemia così,
all'improvviso, e c'è voluto un po' di tempo per capire che cosa
stava accadendo proprio a noi, superprotetti da vaccini e medicine,
da un'organizzazione sanitaria capillare, da una scienza medica che
ritenevamo perfettamente in grado di padroneggiare una semplice
influenza.
Non
potevamo neppure immaginare lo scenario che si presenta quando
contemporaneamente si ammala un numero di persone fuori controllo,
provocando un affollamento insostenibile nelle strutture sanitarie e
costringendo talvolta i medici a fare delle scelte angoscianti.
Ogni
influenza ha le sue vittime prescelte. La spagnola colpiva
soprattutto i giovani e gli adulti fino ai 40 anni, mentre il
coronavirus preferisce gli anziani, in prevalenza uomini, i quali
spesso hanno altre patologie che si aggravano rendendo inutile ogni
cura.
Ancora
siamo nel bel mezzo dell'accadimento, ancora non possiamo capirne gli
sviluppi, ma certamente abbiamo già fatto le nostre riflessioni.
Questo
clima di segregazione, di chiusura, di abbandono delle attività è
percepito in maniera differente in ragione dell'impatto economico che
comporta per ciascuno di noi e anche in relazione all'età. Non
possiamo fare delle previsioni sulle conseguenze anche perché molto
dipende da quanto sarà lungo il periodo di restrizioni e dal
bilancio finale che si sta già presentando molto pesante. Se
dobbiamo riferirci alla Spagnola possiamo dire che nel 1918 guerra e
pandemia hanno dato un colpo durissimo a tanti popoli, ma stiamo
anche parlando di numeri decisamente superiori su una popolazione
mondiale che non raggiungeva i due miliardi di persone. Un miliardo era stato contagiato e il bilancio finale è stato di 50 milioni di decessi.
Cosa
fare?
In
conclusione, ricordiamo che una situazione avversa può essere
trasformata in opportunità. Possiamo trascorrere questo momento di
pausa in attività di lettura, di ricerca, di creazione artistica, di
revisione dei nostri personali archivi stivati nei cassetti o dentro
sportelli negletti da anni, e nella concretizzazione di tutto ciò
che abbiamo sempre rimandato e non abbiamo mai avuto il tempo di
realizzare.
Se
vogliamo trovare qualcosa di positivo nella nostra attuale vicenda
possiamo pensare che forse questa esperienza servirà a farci capire
che la natura, per quanto noi cerchiamo di sottometterla, è sempre
in grado di riprendersi i suoi spazi come hanno dimostrato le
immagini dei delfini sotto costa, dei cigni in città, dell'aria
senza smog e delle acque trasparenti. Forse qualcuno ci sta dicendo
che per una migliore qualità della vita si può anche fare qualche
rinuncia senza perciò sentirci diminuiti nelle nostre prerogative di
signori del creato.
La
parte relativa all'influenza Spagnola è tratta dallo studio di
Eugenia Tognotti pubblicato nel volume Dal
mondo antico all'età contemporanea, Studi in onore di Manlio
Brigaglia, Guerra ed epidemia, la “Spagnola” in Sardegna, Carocci, 2001.
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