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lunedì 13 febbraio 2012

L'accabadora


Mi è capitato tra le mani un libro di  Gino Cabiddu, " Usi costumi riti tradizioni popolari della Trexenta" edito nel 1965 dai Fratelli Fossataro di Cagliari e tra le varie informazioni ho trovato una parte che riguarda l'accabadora. 
L'autore ritiene che la figura di questa donna possa essere frutto di leggenda o comunque sia "qualcosa di diverso da ciò che si vuole dare a intendere". 
Aggiunge che l'accabadora sarda potrebbe essere una donna ritenuta dotata di speciali virtù che, "togliendo dal collo degli agonizzanti gli amuleti sacri, come scapolari, medagliette di santi o patenas" affrettava la separazione dell'anima dal corpo di persone in dolorosa agonia.

L'autore riporta in seguito lo scritto di Giuseppe della Maria apparso nel Nuovo Bullettino Bibliografico Sardo. AnnoV N° 28 -Cagliari - 1960.
Lo studioso dice che William Smith offre la prima testimonianza scritta di accabadora intorno al 1826-27 quando dice che in Barbagia l'accabadora aiutava una persona a morire soffocandola. Aggiunge che l'usanza venne proibita dal Padre gesuita Giovanni Vassallo che fu in Sardegna dal 1726 al 1775, anno della sua morte.
Un'altra testimonianza ci viene dal canonico Angius che nel 1834 afferma che sas accabadoras erano "donnicciuole che abbreviavano le pene di una morte stentata dando un colpo sul petto, con una specie di mazza, sa mazzocca".

Nell'Ottocento vari altri autori si inserirono nella discussione sull'esistenza o meno di tale personaggio: Della Marmora, Tyndal, Bresciani, Tennant, De Gregory e Domenech.  

Giuseppe della Maria afferma che secondo il Padre Angius agli inizi del 1800 era in uso a Cagliari la pratica di accelerare la fine degli agonizzanti con due procedimenti:
1. Togliere dalla stanza croci, simulacri, immagini e privare il malato di scapolari sacri in modo da accelerare il distacco dell'anima dal corpo.
2. Se l'intevento non ha efficacia, collocare sotto la testa del malato il giogo di un aratro o di un carro (su giuali).
Pare che il giogo fosse utilizzato anche nelle Barbagie e nel Nuorese.
Lo studioso afferma che non ha avuto riscontri sulla presenza di accabadoras nella Trexenta ma è venuto a sapere che certe donne vengono chiamate presso gli agonizzanti che prolungano la sofferenza. Tali donne tolgono di dosso al malato ogni amuleto sacro, levano da sotto il guanciale libretti di preghiere e ogni oggetto sacro.
Le donne accompagnano i loro gesti con versetti magici, forse scongiuri o parole propiziatorie per favorire la liberazione dell'anima. Naturalmente queste formule non si conoscono in quanto non vengono rivelate.



A sostegno della esistenza della donna che poneva fine alle sofferenze degli agonizzanti Emmanuel Domenech (n. 1826, m.1886), autore di "Pastori e banditi", dice che dopo aver curato i malati con tutta la devozione possibile, i sardi, non potevano rassegnarsi al prolungarsi delle sofferenze di un'agonia e per farle cessare al più presto ricorrevano all'ausilio delle accabadoras.

Il  fatto che segue fu raccontato da una signora a un vecchio prete dell'Università di Sassari.
"Quando mia nonna aveva diciotto anni cadde gravemente malata. Il Curato della Parrocchia venne a darle l'Estrema Unzione, e quando finì rimase presso il suo letto. In quel momento entrò una persona, e dalla porta aperta vide "s'accabadora" che nell'anticamera attendeva di essere chiamata per abbreviare le sofferenze della giovinetta. A quella vista, l'ammalata provò un tale terrore, che ne ebbe una crisi, seguita da abbondante traspirazione onde guarì quasi subito".

(Commento) A voler essere precisi la ragazza ha visto dalla porta aperta una persona che forse era una "accabadora", oppure era una donna chiamata solo per portar via dalla stanza quegli oggetti sacri di cui si è parlato. Non mi sembra una testimonianza inequivocabile che prova l'esistenza dell'accabadora. Oltretutto chi parla non è la protagonista del fatto, ma una nipote che lo riferisce dopo molti anni.

Giuseppe della Maria parla di un altro evento raccontato dal Canonico Dottor Pietro Raimondo Calvisi.
"A Bitti, intorno al 1906 sono stato testimone del seguente fatto. Nei pressi della casa mia, un bimbo era in agonia da oltre tre giorni, quando si presentò alla madre del morente una vecchia dall'aspetto duro ed energico, alta e segaligna. La vecchia si offrì decisa, alla madre, per abbreviare l'agonia del piccolo sofferente.
La madre non si stupì della cosa, ma rifiutò dicendo: "Cherzo que si guadagnet su Chelu." (Voglio che si guadagni il Cielo)
Da queste parole ebbi la chiara conferma che la sinistra vecchia fosse una superstite accabadora".

(Commento) Questa testimonianza potrebbe essere più decisiva ai fini di stabilire l'esistenza della donna che dà la morte, anche se la conferma di cui parla il Canonico Calvisi non deriva da un chiarimento senza possibilità di equivoci con la madre, ma da una sua interpretazione.

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